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SANT: Risultati della consultazione del Parlamento sulla salute delle donne in Europa

Quasi 2.000 cittadini europei hanno partecipato alla consultazione del Parlamento europeo sulla salute delle donne, contribuendo a delineare un quadro articolato su accesso ai servizi, qualità dell’assistenza, condizioni di lavoro e priorità di policy. Il report “Analysis of the Results of the European Parliament’s Public Consultation on Women’s Health” raccoglie e sintetizza queste evidenze, evidenziando carenze strutturali e aree di intervento urgenti.

La consultazione della Commissione SANT, rivolta a cittadini, stakeholder, professionisti sanitari e istituzioni, ha registrato 1.908 risposte, per la maggior parte provenienti da donne altamente istruite residenti soprattutto in Germania, Belgio e Paesi Bassi. L’analisi restituisce una panoramica delle criticità percepite lungo tutto il corso della vita e in diversi ambiti sanitari e sociali.

Contesto e parità di genere in salute

I risultati mostrano valutazioni molto basse per l’assistenza relativa a menopausa e perimenopausa, salute sessuale e riproduttiva, mestruazioni dolorose, PCOS, incontinenza e infezioni urinarie. Molti partecipanti segnalano differenze di trattamento rispetto agli uomini, tempi di attesa più lunghi e procedure ritenute più dolorose del necessario. L’assistenza alla popolazione LGBTIQ è giudicata in modo particolarmente negativo, soprattutto per competenze del personale e qualità delle informazioni. La cura legata alla gravidanza ottiene invece riscontri più positivi rispetto ad altre aree.

Nel contesto lavorativo emerge la percezione di uno svantaggio per le donne nella gestione delle problematiche di salute. Le condizioni nel settore sanitario risultano critiche, con carichi e organizzazione del lavoro considerati poco sostenibili. Tra le priorità indicate per trattenere e attrarre personale femminile figurano retribuzioni più adeguate, orari meglio strutturati e un miglior equilibrio tra vita professionale e vita privata.

Sul fronte dell’informazione le risposte evidenziano una conoscenza insufficiente dei diritti sanitari delle donne, delle esigenze della popolazione LGBTIQ, delle differenze di genere negli effetti dei farmaci e dei rischi associati alle sostanze chimiche nei cosmetici. Le carenze coinvolgono anche l’educazione alla salute sessuale e riproduttiva e la formazione degli operatori sulle specificità legate al genere.

RISULTATI DELLA CONSULTAZIONE: Il ruolo dell’UE per la salute delle donne

Dal punto di vista strutturale e politico emerge una scarsa attenzione sistemica alle esigenze di salute delle donne, una limitata ricerca dedicata con prevalenza di campioni maschili e una bassa priorità attribuita alle condizioni tipiche femminili. Alla mancanza di consapevolezza si sommano insufficiente supporto politico e risorse finanziarie non adeguate. Tra le aree ritenute più urgenti si segnalano lo sviluppo di farmaci più sicuri per le donne, un accesso più equo ai servizi preventivi e curativi e un rafforzamento delle azioni per ridurre le disuguaglianze.

Oltre metà dei partecipanti auspica un ruolo più incisivo dell’Unione europea nella salute delle donne, insieme a una collaborazione più strutturata con gli Stati membri.

 

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Misure per la parità di genere nei PNRR: l’Italia esempio virtuoso in Europa

La pandemia del COVID-19 ha acuito sensibilmente quelle che erano le disparità di genere, sociali ed economiche già presenti negli Stati Europei. L’evidenza scientifica ha ampiamente dimostrato quanto gli effetti della crisi si siano riversati in maniera esponenzialmente maggiore sulle donne rispetto che gli uomini.

L’Unione Europea ha deciso di intervenire in modo strutturale per ovviare a questa questione, obbligando per esempio gli Stati membri in questa programmazione ad avere un Gender Equality Plan (GEP) per poter partecipare ai progetti dell’Unione Europea come ad esempio il programma Horizon Europe.

Se è giusto affermare che il GEP riguardi le singole organizzazioni che fanno domanda e non gli Stati membri di per sé, è vero anche che tale misura debba essere presentata da enti pubblici quali organismi di finanziamento della ricerca, nonché ministeri nazionali, enti pubblici di autorità, enti di ricerca siano essi pubblici o privati.

Inoltre, occorre aggiungere che il GEP non va inteso come una misura isolata all’interno di un quadro normativo impreparato, ma che dovrebbe essere circoscritto all’interno di una analisi degli studi di genere, alla base dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza post-Covid.

Ed invece l’EIGE nel suo rapporto registra che, un coinvolgimento limitato sia dei governi nazionali che degli organismi indipendenti per la parità di genere e la società civile femminile e femminista, abbia portato ad un risultato che stima a meno del 2% la quota destinata a bilancio per misure di genere.

Questo dato è frutto della mancanza di approccio strutturale da parte degli Stati dell’UE, che non hanno prodotto dapprima una gender analysis, così da delineare le criticità del tema ed agire di conseguenza durante la stesura dei Piani di Ripresa e Resilienza.

Il caso virtuoso dell’Italia sulla serietà dell’analisi di genere a monte del PNRR

L’Italia si è dimostrata, insieme soltanto alla Spagna e alla Svezia, uno dei pochissimi paesi che hanno prodotto dapprima una analisi del divario di genere nei diversi settori, per poi favorire e promuovere la parità attraverso un approccio trasversale in cui il tema è stato preso in considerazione nelle fasi di attuazione del PNRR.

Il tema della parità di genere va inteso in questa fase come una delle chiavi di lettura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per rendere più inclusiva ed efficace l’esecuzione dei bilanci.

Altri Stati membri si stanno ora mobilitando nell’introdurre un’iniziativa prospettica sul tema della parità di genere nei propri Piani Nazionali. Tuttavia si ha la sensazione che si sia persa una occasione importante per attuare con forza una struttura egualitaria ed inclusiva delle differenze di genere, soprattutto in un periodo storico che riflette l’acuirsi delle disparità sociali. Se è vero dunque che si possa rimediare in futuro attraverso la specifica implementazione di altri piani nazionali sul tema, occorre in questa fase elogiare coloro i quali hanno tracciato le linee guida del piano di Ripresa pensando da subito, tra le priorità, di ridurre gli effetti negativi quanto meno della crisi sulle donne.

È essenziale includere e mantenere questa forma mentis anche nelle fasi finali di attuazione e soprattutto monitoraggio dei piani nazionali, da non prendere sottogamba per non vanificare quanto di buono fatto nella fase precedente. Un plauso va anche alla Svezia e in particolare alla Spagna, che ha fatto dell’uguaglianza di genere un caposaldo della strategia nazionale di ripresa.

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